Il tempo della scuola che conosciamo è finito. È finito quando non è stata capace di restare al passo con i tempi, quando invece di crescere con i propri ragazzi è rimasta testardamente legata al concetto sempre più obsoleto di “tradizione”. La trasmissione da una generazione all’altra delle stesse nozioni, aggiornate con lentezza estenuante, non è più abbastanza per i nostri ragazzi. Si percepisce un bisogno crescente di innovazione, qualità dei contenuti e attenzione al singolo studente, sia nel metodo di studio quanto quello dell’insegnamento. Nella scuola tradizionale c’è poco spazio per il singolo, le quattro mura scolastiche contengono i ragazzi fisicamente, ma anche mentalmente, smussando le singole diversità fino a creare lo studente standard che ci aspettiamo alla fine del percorso scolastico.
I ragazzi di oggi hanno modi sempre più unici di esprimersi, possibilità di accedere a contenuti sempre più vasti, lo spirito sempre più inquieto di chi si rende conto che nel posto in cui si trova non viene equipaggiato ad affrontare il mondo reale.
La Scuola tradizionale non funziona ed è un dato di fatto. Come ci riporta l’OECD nel suo dossier annuale “Education at a Glance”, l’Italia si piazza ancora una volta al di sotto della media, in tutti i diagrammi che comparano diversi aspetti della qualità dello studio nei sistemi educativi mondiali. Che sia il tasso NEET (acronimo inglese di [Young people] Not in Education, Employment or Training – ossia che non studiano, non hanno un lavoro né sono in apprendistato/tirocinio); che siano le risorse finanziarie investite nelle istituzioni del settore dell’istruzione (l’Italia si posiziona 31 su 37, non solo al di sotto della media OECD, ma anche di quella Europea di diverse posizioni); oppure che siano semplicemente il numero di ore effettive che gli studenti passano tra le mura della scuola ad imparare, l’Italia delude studenti e famiglie.
Quali sono quindi gli aspetti più carenti della Scuola tradizionale?
Sicuramente i contenuti, il metodo, i docenti e persino gli strumenti didattici utilizzati. Iniziamo proprio dai contenuti: i programmi, di anno in anno, subiscono poche variazioni o si allungano con un accatastarsi di argomenti, mentre le ore a disposizione per portarli a termine sono sempre le stesse. La singola lezione frontale non è più il veicolo perfetto della conoscenza, mentre cresce il bisogno di flessibilità interdisciplinare che permette un panorama più completo e dettagliato degli argomenti trattati.
L’interdisciplinarità è il metodo di studio del domani, ed è una strada lungo la quale la nuova generazione di docenti è pronta a condurre gli studenti. Con l’aumentare dei decenni di distanza tra chi sta dietro la cattedra e chi davanti, aumenta il divario delle conoscenze condivise. Non è un caso che solo l’2% di tutti i docenti fanno parte della categoria “giovani docenti” (età inferiore a 30 anni), ben 11% in meno della media OECD. La Scuola italiana si rifiuta di passare il testimone alle nuove generazioni di docenti, che potrebbero avere un approccio fresco all’insegnamento, rispetto al comprovato metodo di studio fallimentare della semplice lezione frontale.
La Scuola italiana, sempre secondo i dati raccolti, propone inoltre un alto livello di competitività, che risulta nella manifestazione di un alto livello di stress negli studenti, schiacciati dall’ossessione del prendere un buon voto; ma uno studente è davvero il voto che prende? La scelta di rendere la scuola tradizionale un luogo in cui la competitività diventa accanita, crea un sistema che punisce i più lenti ad imparare piuttosto di dargli il tempo di cui hanno bisogno. Non è un caso che gli studenti italiani sono tra i più stressati d’Europa (sempre secondo le inchieste dell’OECD).
Viviamo in un mondo altamente digitalizzato, rifiutato o persino demonizzato da chi non ne comprende le dinamiche, perdendosi così il flusso costante di informazioni e il crescente multitasking che i giovanissimi sanno gestire sempre meglio e sempre prima. Questi nuovi canali di comunicazione non possono che essere il nuovo modo per comunicare con loro, è sufficiente un manuale di testo per soddisfare il bisogno di affinare le skill sempre più moderne dei ragazzi? È sufficiente una lezione frontale e compartimentalizzata (dal punto di vista disciplinare) per garantire l’assorbimento dei contenuti? È sufficiente la trasmissione di conoscenze piuttosto che di competenze per formare un ragazzo al mondo dopo la Scuola?
Se la tua risposta a tutte queste domande è “no”, complimenti! La Scuola tradizionale ha deluso anche te. L’ultima domanda da porsi è: dove inizierà il cambiamento?